Mentre attendo che Il Signore degli Anelli torni a casa, per
poter riannodare l’oscura conoscenza, rileggo Lo Hobbit, che idealmente è il
primo passo del lunghissimo viaggio che porta lo hobbit Bilbo ad impadronirsi
suo malgrado di un anello magico, a tirare fuori la parte più avventurosa e
selvaggia del suo animo, a scontrarsi con un drago, e partecipare ad un’epica
guerra tra razze. Quando sentii parlare per la prima volta di questa storia,
che ho condensato in tre righe, mi fu raccontata come favola (ero bambina) e
come parte integrante de Il Signore degli Anelli: pensavo davvero che fosse un
solo libro. Per cui, passai i primi capitoli a cercare il drago, che ovviamente
era già ampiamente morto e sepolto da un’altra parte, mentre l’Anello, l’Unico
Anello, era già in scena in casa di Frodo. La prima volta che lessi Il Signore
degli Anelli, lo feci con un senso di incompletezza. Cercavo un drago, e loro
mi davano Nove Cavalieri Oscuri, che non smettevano di cacciare e terrorizzare
il povero Frodo, finché non furono portati via da onde fluviali trasformate in
cavalli bianchi invincibili. Volevo sapere chi diavolo era Gollum, e il perché
di quel nome grottesco, e nessuno dei personaggi si sbilanciava più di tanto a
rivelare qualcosa di questa creatura, dando per scontato e glissando come se
niente fosse. Finché non vidi sul catalogo Euroclub Lo Hobbit, o La Riconquista
del Tesoro, e non fugai tutti i miei dubbi. La lettura dei libri di Tolkien per
me fu l’equivalente della ricostruzione di un mosaico, dopo aver cercato e
rintracciato tutte le tessere. Credetti di aver finito la mia esperienza di
Indiana Jones del settore, almeno per quanto riguardava i libri, ma poi scoprii
un intero mondo all’Università, questa volta su Tolkien stesso. Non era “solo” uno
scrittore. Studioso di un certo livello della lingua anglosassone, professore
di lingua e letteratura inglese a Oxford, linguista, FILOLOGO e, quasi di conseguenza, glottoteta, o glossopoeta
(creatore di linguaggi artificiali, in sintesi). Era uno scrittore demiurgo.
Qualcuno che crea mondi, li popola di persone, e dona loro una vita, lingua,
cultura proprie. Ero una matricola, già attratta e catturata dal corso di
Filologia Germanica, e scoprire che l’autore del mio romanzo pilastro lo era
stato a sua volta, e anche ad altissimi livelli, mi galvanizzò e spinse
decisamente nella direzione appena abbozzata, che si sarebbe conclusa con una
tesi nel campo. Scoprire quelle informazioni su Tolkien, la sua professione e
il background culturale al di sotto dei suoi romanzi, me li fece comprendere
maggiormente. Era fantasia viva, verosimile, molto più vicina. Le radici di
Bilbo sono le stesse che hanno fatto crescere gli alberi della letteratura
anglosassone e scandinava antiche, che hanno scelto uno sviluppo più originale,
moderno. La trama de Lo Hobbit è piuttosto nota, al pari di molti classici di
altri tempi, argomenti e lingue. In una regione di quel paese che è la Terra di
Mezzo, vive una popolazione di esseri piccoli di statura, d’indole schiva e pacifica,
dediti soprattutto alla vita bucolica a stretto contatto con la natura e ai
piccoli grandi piaceri relativi alla buona tavola e alla condivisione con i
vicini. Non amano intrattenere rapporti con le altre razze, e sono felicissimi
di vivere tutta la loro vita nella loro amata Contea, tra amici e parenti che
conoscono perfettamente. Non amano avventure: sono cose pericolose, da cui è
necessario guardarsi. Dello stesso parere, almeno apparentemente, è Bilbo
Baggins, uno degli Hobbit più rispettati e benestanti della Contea: quando lo
sguardo del narratore si abbassa su di lui, è seduto davanti alla porta di casa
sua, dopo un’abbondante colazione, intento a fumare la pipa.
mercoledì 26 giugno 2013
sabato 22 giugno 2013
Inizia l'Estate Tolkeniana
Non poteva mancare, tra le mie ossessioni furiose. Ci penso da quando ho aperto il blog, un anno fa. John Ronald Reuel Tolkien. E il suo Il Signore degli Anelli, naturalmente. Penso di aver già detto in un altro post come ho conosciuto prima il libro, sentendomelo raccontare da bambina da una supplente particolarmente in gamba e creativa, che aveva azzeccato un buon metodo per tenere a bada e soggiogati una schiera di bambini a lei sconosciuti, al di sotto dei dieci anni, senza ricorrere a minacce o a violenze. Quando riuscii a mettere le mani sul libro, qualche anno dopo, era estate e la scuola stava finendo. Lo lessi e lo rilessi. E anche l'estate dopo. E quella ancora dopo. Credo che fosse il mio rito personale per sancire l'inizio dell'estate, che durò almeno dieci anni o poco più. Forse fu l'Università a interrompere la tradizione, e tutte le altre esigenze che si sono presentate, distogliendomi dal mio librone, che era sempre lì ad aspettarmi.
Quest'anno, complice Marzia e la sua richiesta di portare a termine la lettura de Il Signore degli Anelli, che non la convinceva troppo, da diversi anni, ho ripensato al mio rito personale e mi sono chiesta: perché non riprenderlo? Ed essendoci anche il blog, ho l'occasione per parlare di un autore che per me è stato importante, al punto da dedicargli una pagina tutta per lui. E con questo post, scritto a due voci con Marzia, dichiaro ufficialmente aperta l'Estate Tolkeniana. ^___^
La parola a Marzia...
Le manie di una lettrice furiosa
Tempo fa, nel post dedicato al Salone
del Libro, dichiarai ufficialmente:
la
mia annosa controversia con Il Signore degli Anelli è risolutivamente conclusa;
ho portato a casa il volume unico, un bel “tomone ciccio” di cui ho già notato
una revisione nella traduzione.
Il libro di Loredana è qua sul mio
scaffale da qualche mese ormai.
E non per la prima volta: io e Loredana
scherzavamo sul fatto che il suo libro si sarebbe sentito a suo agio fra i
miei, ormai conosce bene me ed i miei scaffali.
Adesso è ora di restituirlo.
Buffo: mi sento a disagio.
Possibile? Siamo abituate a scambiarci i
libri, perché stavolta provo questa sensazione strana? Di abbandono?
Insomma, ho la mia copia dove il famoso
“coniglio al ragù” di Sam, che turbava i miei sonni, è diventato uno stufato di
coniglio!
Sì, turbava i miei sonni: sono ferrarese
da parte di padre, il ragù è nel nostro DNA assieme alla pasta all’uovo, le
lasagne, i tortellini, i “cappellacci” (tortelloni di zucca), il salame
all’aglio, la salama da sugo ed il panpepato di Natale… insomma, cosa c’entra
il ragù col coniglio? Si usa la carne del coniglio per fare il ragù? O tanto
per non farsi mancare nulla, gli Hobbit condiscono riccamente anche il
coniglio, alla faccia del colesterolo?
Per non parlare del burro che è nominato
spesso, assieme alle grasse abitudini alimentari di Sam &C…
O i misteriosi “Rifugi Oscuri” che nella
mia copia diventano i “Porti Grigi”.
Sto guardando il librone “vissuto” di
Loredana.
Ricordo che gliel’ho chiesto (ancora) in
prestito per superare un momento difficile.
Ero talmente “storta” che avevo bisogno
di qualcosa che impegnasse ed assorbisse tutta la mia attenzione. Che mi
distogliesse dai crampi e facesse dimenticare che le gambe cedevano più del
solito.
Ha assolto pienamente, tenendomi
incollata al divano anche per leggerlo.
Ecco perché ora provo una certa nostalgia
proprio per quel libro.
Quel volume – proprio “lui” – mi ha
regalato molto.
Mi piace anche il mio, con la sua
copertina scura e sobria. Ma saluto con gratitudine un amico.
Sembro una maniaca?
Sono una lettrice furiosa!
venerdì 21 giugno 2013
200 lettori alla prova! Avete voglia di vincere ebook?
...se la risposta è sì, è sufficiente visitare uno di questi due link:
e partecipare all'iniziativa, seguendo le istruzioni, almeno fino al 24 giugno 2013, ore 8,30.
Partecipate numerosi, numerosissimi!
Liebster Blog Awards - Il Furore premiato anche con il caldo!
Un post di ringraziamento sentitissimo, questo. Chefdilibri, o meglio, MasterChefdilibri, del blog Parole di Cioccolato, viste le bontà che prepara e di cui generosamente distribuisce le ricette a noi assaggiatori affamati, mi ha nominato ancora una volta per il Liebster Blog Awards. GRAZIE! Sono felice e grata, per cui mi sento spronata a continuare così e anche a fare di meglio.
E cosa c'è di meglio che leggere tonnellate di libri?
(sì, capisco tutte le altre opzioni, ma qui si parla di Furore D'Aver Libri. Niente di obiettivo.) :-D
Da regolamento, ci sono le domande fatte dal blog premiatore cui rispondere, le nomine degli altri blog da fare e la creazione di un altro set di domande per i premiati. Lo farò, prometto. Ora sono felice, ma anche piegata dal caldo, per cui non riuscirei ad agire e pensare da essere senziente...
giovedì 20 giugno 2013
Dio odia il Giappone – L’originalità a tutti i costi
Hiro Tanaka si produce in sforzi veramente titanici per
essere originale, e non farsi prendere dall’omologazione così tipica del suo
paese d’origine. Uno di questi è persino...banale, se mi permettete l’evidente
contraddizione con la frase precedente. Sperimenta droghe. Riesce però, a farlo
senza farsi ingoiare, masticare e sputare via come un nocciolo inservibile,
come capita a molti. Le droghe gli fanno un effetto buffo, come sottolinea più
volte al suo migliore amico, Tetsu. Passa da un lavoro precario all’altro, e
spende profusamente per comprarsi vestiti alla moda, per poter “aumentare le
sue probabilità statistiche di accoppiamento”. Vive con il suo amico, in un
appartamento ricavato in un palazzo di uffici abbandonato. E concretizza il suo
dialogo interno rivolgendosi ad un proprio ipotetico “clone”, creato da qualche
scienziato pazzo del futuro con molto tempo libero. Nei momenti di “Caro clone, ti scrivo”, Hiro
si concede il lusso di guardare se stesso e la propria vita senza pesi, senza
giudizio, come se stesse davvero raccontando la vita di qualcun altro. Lo
consiglia e lo mette in guardia persino sulle allergie di cui potrebbe
soffrire:
“Caro Clone, te ne ho tenuta da parte una bella succosa: sarai
allergico a tutto quello che finisce per –aina...benzocaina, novocaina e, anche
se non l’ho mai provata, cocaina. L’ho sperimentato sulla mia pelle, mentre mi
facevo otturare una carie sulla poltrona del dentista, nel 1984. Non mi ricordo
molto: ho perso i sensi, e solo dopo ho scoperto che avevano dovuto farmi un’iniezione
di noradrenalina e un minuto di massaggio cardiaco sul pavimento del dentista.
[...] Quindi, se ti fai
male alle caviglie, procurati della morfina. O della codeina. O altri oppiacei.
Sono molecole più simpatiche”. (Douglas Coupland, Dio odia il Giappone, ISBN Edizioni, pag. 108)
Sotto il sarcasmo, il paradosso e l’ironia che
costruiscono il modo di parlare e di atteggiarsi di Hiro, si sente una sorta di
affetto, di slancio per se stesso che non riesce a concretizzare nella vita
reale, e che viene riversato su questo suo “clone”, un altro se stesso che è
più facile da amare e accudire perché è più lontano, quasi distaccato.
“Caro
Clone, trovo poetico e beffardo che il tuo corpo rifiuti proprio le cose che
normalmente dovrebbero alleviare il dolore. È come se l’universo ti avesse
deliberatamente precluso l’utilizzo di tutti i rimedi rapidi: l’alcol ti fa
stare male, la droga ti rende paranoico e gli antidolorifici ti provocano
dolore. A questo punto, caro Clone, non mi sorprenderei se un domani scoprissi
che siamo allergici ai cuscini morbidi e ai divani comodi.” (Douglas Coupland,
Dio odia il Giappone, ISBN Edizioni, pag. 108)
Avevo detto che il sottotitolo del libro, romanzo d’amore e
fine del mondo, stava per farmi posare il libro per sopraggiunta irritazione.
Nello stato d’animo di chi accetta una sfida che lo mette a disagio, mi sono
disposta ad ascoltare il modo in cui sarebbe comparso l’amore nel romanzo. Fin
dalle prime pagine compare, sottoforma di ammirazione per le tre ragazze
popolari della scuola, quelle che guardano lontano dopo un’improbabile
conversione, e si fa strada in sordina. Hiro cerca amore, pur se travestito da
impulso all’accoppiamento, e lo riversa su destinatarie con alta probabilità di
rifiuto. Una di queste è Naomi, la sorella minore di Tetsu, che è un
personaggio altrettanto singolare. Sopravvive all’attentato nella metropolitana
del 1995 con il gas Sarin, perdendo un polmone, acquistando una cicatrice-marchio,
sviluppando un cinico distacco verso tutto ciò che sta al di fuori di lei
(famiglia, società, amici), e un atteggiamento aggressivo verso la vita e le
cose che vuole e anche quelle che non vuole. Come per Harry Potter, la cicatrice
diventa il marchio di fabbrica indesiderato di Naomi, una bandiera al contrario
da tirar fuori per tener lontano e ribadire il proprio desiderio di non essere
vincolata a niente e a nessuno. Naomi è solitaria e aggressiva, non cerca
affetti se non un sollievo puramente temporaneo ed egoistico. Hiro si
adatta...a modo suo. Quando improvvisamente la ragazza scompare, si accoda al
fratello deciso a cercarla per l’intero globo. Seguendo le sue tracce, i due
ragazzi si trovano improvvisamente catapultati a Vancouver, in Canada. Due
giapponesi con scarsissime conoscenze d’inglese, piombati in una realtà
completamente opposta, totalmente allo sbaraglio, più di quanto lo siano
normalmente nelle loro vite consuete. Il modo in cui Hiro descrive se stesso in
Canada e quello che vede in Canada, è davvero esilarante. Sembra sul serio l’alieno
caduto dalla navicella spaziale sulla terra senza i suoi super attrezzi o
superpoteri, che si aggira spaesato facendo una sciocchezza dopo l’altra, come
capita di vedere in molti film. Quella
che, secondo me, descrive perfettamente il carattere di Hiro, avviene quando il
ragazzo entra in un supermercato di Vancouver, leggendo i prezzi della merce
come se fosse la prima volta per lui in un negozio. Attratto da un bel pezzo di
carne, un arrosto di costata dal prezzo basso, lo compra d’impulso e lo porta
nella camera d’hotel che divide con Tetsu, posandolo all’esterno, sul
balconcino. Riporto qui la scena successiva:
“La mattina dopo, intorno alle
sei, io e Tetsu ci svegliammo di soprassalto. Da fuori arrivava un frastuono
che sembrava quello di un combattimento di galli. Andammo alla finestra e
aprimmo le tende: c’era una decina di gabbiani lanciati nella più sanguinolenta
delle orge culinarie. ‘Il mio arrosto!’ ‘Hiro, imbecille. Guarda che casino. E cos’è
che volevi farci, cospargerlo di pepe e cuocerlo per due ore?’ Aprii la porta a
vetri, ma sembrava che ai gabbiani non fregasse niente. La richiusi. ‘Mi
piaceva tanto quell’arrostino di costata.’” (Douglas Coupland, Dio odia il
Giappone, ISBN Edizioni, pag. 131)
Ho dovuto posare il libro per poter ridere
in santa pace, da sola, cercando di nascondermi sotto il sedile dell’autobus
per evitare internamenti improvvisi in apposite strutture. Hiro è questo: una
personalità in cerca di se stessa, che nel corso del suo viaggio (anche
interiore) commette...sciocchezze estreme come questa. Il soggiorno in Canada,
dopo l’arrosto e i gabbiani, è piuttosto breve e porta a sviluppi impensati.
Uno di questi lo farà riportare dritto dritto in Giappone, dove scoprirà
qualcosa di sorprendente proprio sulla sua ingessata e omologata famiglia. Non
c’è un finale felice, ma nemmeno uno infelice, alla vicenda. C’è...vita aperta.
Come spesso capita nella vita vera, non ci sono chiusure e soluzioni definitive
agli eventi. Anzi. Ci sono molte domande, molte sospensioni, molti tentativi di
evitare le spiegazioni e le conclusioni. Non c’è una spiegazione nemmeno decisa
e teorizzata del titolo, che afferma perentorio l’odio divino verso il
Giappone. E’ un personaggio particolare ad affermarlo, come sua convinzione
personale, e lo fa senza ulteriori spiegazioni, come se fosse un dato di fatto.
Chi è questo personaggio? Non preoccupatevi. E' scritto nel libro, garantisco. ^___^
giovedì 6 giugno 2013
Dio odia il Giappone – ...e perché?
Dio odia il Giappone. Ma no, certo che no. Solo perché siete
shintoisti/buddisti? E’ un brano del mio dialogo interno, che si è scatenato in
una serie di ipotesi sulle possibili cause dell’odio divino verso questo paese,
nel momento in cui ho posato gli occhi sulla copertina. A quel punto dovevo
comprarlo, anche solo per scoprire l’interessante teoria che dava origine all’assunto
di cui sopra. “Romanzo d’amore e fine del mondo”, dice il sottotitolo, che
stava per farmi posare definitivamente il libro. Ho già detto che i romanzi d’amore
mi irritano. Per la precisione, gli Harmony. Recentemente, ho scoperto che
tutti i libri che parlano d’amore, dell’amore, finiscono per irritarmi. Metterò
a fuoco questo sviluppo con una serie di riflessioni, che per il momento si
agitano impazzite sotto forma di girini nell’acquitrino mentale che mi ritrovo
sotto i capelli. Torniamo al romanzo. L’autore non è un giapponese: Douglas
Coupland è un canadese che ha vissuto, studiato e lavorato per molto tempo in
Giappone. Per dirla come i giapponesi, è “solo” un gaijin, uno straniero. Uno
che viene da fuori, un non-giapponese. Poco importa il suo paese di origine:
non è giapponese, per cui il suo valore è trascurabile, se non nullo. Nel
libro, però, impersona un adolescente
giapponese, Hiro Tanaka, che diventerà il suo tramite per dare voce ad una
serie di contraddizioni che si avvertono sotterranee nel libro. All’inizio
affronta subito una questione spinosa, la religione, parlando della conversione
di tre sue compagne di liceo, le classiche reginette desiderate, amate, odiate,
imitate, ad opera di due missionari mormoni ospiti presso una famiglia vicina
di casa di una delle tre.
“Cioè, la religione...Cosa diavolo è la religione? Ma
stiamo scherzando? Non voglio fare l’idiota, ma...avreste dovuto vedere lo
sguardo di Kimiko (e anche di Rieko e Kaoru): era vacuo, spento, e quando
passavano per le strade e i corridoi sembrava che non si concentrassero più
sulle cose vicine, come le insegne dei negozi di noodle, o le persone e i
veicoli in avvicinamento. Tenevano gli occhi puntati all’orizzonte, come se
fossero sempre alla ricerca della prima stella nel cielo notturno. Scott aveva
rubato quelle tre al mondo. Aveva annientato le loro essenze individuali e le
aveva trasformate in...che so, profumatori per ambiente in carne e ossa.”
(Douglas Coupland, Dio odia il Giappone, ISBN Edizioni, pag. 8)
Hiro Tanaka è
la voce un po’ allucinata della vicenda: osserva tutto quello che ha intorno
con lo stupore di chi non capisce cos’è il mondo e come sta andando avanti. Non
lo capisce, ma lo giudica, lo disprezza, e cerca di allontanarsene, trovando
modi diversi per essere se stesso, per essere originale e non cadere nella
massificazione così tipica della società giapponese che lo circonda.
mercoledì 5 giugno 2013
Il Furore premiato ancora – Liebster Blog Awards
Mentre raccolgo
le idee per il prossimo libro che comparirà nel blog, e cerco di leggerne altri
quattro (due su e-book) senza rischiare lo strabismo, il Blog Del Furore D’Aver
Libri ha ricevuto nuovamente il premio Liebster Blog Awards, da due blogger,
Dario di Dario Design e Mara di Mara Make up.
GRAZIE!
Mi fa sempre più
piacere ricevere premi, mi sprona a curare sempre di più il blog. E quindi, a
leggere. J
Non che avessi
gran bisogno di incentivi, ma ogni tanto fa bene tenere a mente le cose
veramente importanti, tipo tuffarsi in una fontana di libri. Divago, e farnetico.
Ecco le domande
di Dario cui rispondo:
1.Colore
occhi preferito? Azzurro
2. Canzone preferita? Russians, Sting
3. Cibo che mangi più spesso? Mozzarelle
4. Mare o montagna? Montagna
5. Sport che segui? Yoga (beh, proprio uno sport non è...)
6. Ti piace la nutella? Sì (e me tengo ACCURATAMENTE lontano)
7. Tablet o portatile? Portatile
8. Posto più bello che hai visitato? Stonehenge
9. Segui la moda? Quasi mai
10. Quanto stai al pc? Troppo
11. Dove andresti in vacanza? Nuova Zelanda, Australia, Irlanda, Scozia, Islanda (sì, l’isoletta con la S, che si sviluppa intorno all’Eyjafjöll)
2. Canzone preferita? Russians, Sting
3. Cibo che mangi più spesso? Mozzarelle
4. Mare o montagna? Montagna
5. Sport che segui? Yoga (beh, proprio uno sport non è...)
6. Ti piace la nutella? Sì (e me tengo ACCURATAMENTE lontano)
7. Tablet o portatile? Portatile
8. Posto più bello che hai visitato? Stonehenge
9. Segui la moda? Quasi mai
10. Quanto stai al pc? Troppo
11. Dove andresti in vacanza? Nuova Zelanda, Australia, Irlanda, Scozia, Islanda (sì, l’isoletta con la S, che si sviluppa intorno all’Eyjafjöll)
E ora le mie
domande:
1. Gatto o
cane?
2. Preferisci la televisione o Internet?
3. Genere letterario preferito?
4. Smartphone o telefono cellulare “semplice”?
5. Attore preferito?
6. Ti piace viaggiare?
7. Se volessi studiare una lingua insolita, quale sarebbe?
2. Preferisci la televisione o Internet?
3. Genere letterario preferito?
4. Smartphone o telefono cellulare “semplice”?
5. Attore preferito?
6. Ti piace viaggiare?
7. Se volessi studiare una lingua insolita, quale sarebbe?
8. Monumento
internazionale preferito?
9. Rock o pop?
9. Rock o pop?
10. Ti
piace l’Heavy Metal?
11. Film al cinema o serie TV?
Ed ecco i blog
che premio, stavolta.
Polish NailGirl
Dimenticavo di riportare le regole, per partecipare alla premiazione:
1. Ringraziare e rispondere alle domande fatte da chi ha assegnato il premio
2. Scegliere 11 blog con meno di 200 iscritti da premiare
3. Fare a propria volta 11 domande ai blog selezionati
4. Avvertire i blog della premiazione
Dimenticavo di riportare le regole, per partecipare alla premiazione:
1. Ringraziare e rispondere alle domande fatte da chi ha assegnato il premio
2. Scegliere 11 blog con meno di 200 iscritti da premiare
3. Fare a propria volta 11 domande ai blog selezionati
4. Avvertire i blog della premiazione
domenica 2 giugno 2013
Book Night Moon, La notte bianca dei lettori – Impressioni
Intenso. È la prima parola che mi viene in mente se ripenso
all’evento di sabato 1° giugno, la Notte Bianca dei Lettori, di cui ho parlato qualchepost fa. Intenso, veloce, ricco. Appena scattate le 23.00, l’ora di
partenza per la maratona libresca, eravamo un po’ titubanti. Ehm, come si
inizia? Che si fa? Le altre notti bianche che mi è capitato di frequentare si
tenevano in luoghi fisici, come intere città. Lo sprintoso staff di Diario di Pensieri Persi ha
iniziato subito pubblicando la foto delle copertine dei libri attualmente in
lettura, e...si sono aperte le dighe. Colgo l’occasione per ringraziarli: la
loro è stata un’idea vincente e vittoriosa, da tutti i punti di vista. E’
iniziato un susseguirsi di commenti, di altre copertine e libri pubblicati,
domande che si incrociavano, commenti positivi, negativi, argomentazioni,
svisceramenti dei propri personaggi e dei propri libri preferiti. Ogni nuovo post, che di solito conteneva una
domanda, era seguito da una media di 50 commenti in pochi minuti...io ho saltato
di qua e di là a star dietro alle discussioni, a partecipare. Confesso che non
ho letto nemmeno una riga dei libri che avevo sotto gli occhi in quei momenti,
ero troppo presa a scambiare e condividere. Ho preso nota di alcuni titoli, un
sacco li ho persi per strada, ma non dispero: proprio grazie ad una di queste
conversazioni veloci e dense, ho recuperato il titolo di un libro “alla Austen”
che avevo visto un paio d’anni fa e che mi era sfuggito. Una versione di
Orgoglio, Pregiudizio e...zombie.
Sì, sì, non vampiri (quello è Darcy), ma proprio zombie. Ora che l’ho ritrovato...così, oltre alla
mano, il crampo verrà al portafoglio. ^__^
E’ stata un’esperienza piena, da pionieri e molto ricca. Per
quanto non potessimo guardarci in faccia, abbiamo stretto legami di libri,
lasciando che fossero loro a parlare per noi. Sono state conversazioni sempre
civili, corrette, colte, con scambi d’informazione ad ogni livello, incroci di
consigli e di chiavi di lettura per uno stesso libro. In Italia si legge poco?
Forse sì. A giudicare da quei commenti, però, non si direbbe. C’era, anzi, un’immensa
voglia di leggere ancora di più, che cresceva a vista di post. Sono convinta
che se si ripetessero eventi di questo genere, trasponendoli anche in luoghi
fisici, e si riempissero di persone, anche coloro che leggono meno o non amano
particolarmente i libri, sarebbero invogliati a farsi trascinare di più. In
ogni caso, c’è un amplissimo zoccolo duro di lettori incalliti, furiosi,
irriducibili, inarrestabili, pronti a farsi carico di tutti i libri del mondo. ^__^
sabato 1 giugno 2013
Iniziativa Gruppo di Lettura per "La bambina senza cuore" di Emanuela Valentini
Sono una lettrice "furiosa" e questo concetto, mi sembra, è stato espresso piuttosto chiaramente un numero indefinito di volte e in un altrettanto numero indefinito di post di questo blog. Sono anche una lettrice solitaria, nel senso che amo leggere per conto mio. Dopo la lettura, amo condividere con gli altri le mie impressioni, critiche, pensieri sul libro letto. Questa volta, invece, desidero fare un'esperienza che per me è tutta nuova: partecipare ad un gruppo di lettura "digitale", che si svolge tramite Rete, organizzato da un bel book blog, Reading is Believing. Il libro prescelto è La bambina senza cuore, di Emanuela Valentini, edito in e-book da Speechless Magazine. Ho incontrato questo titolo qualche tempo fa, grazie alla Biblioteca di Eliza; dopo aver scaricato l'e-book, ho iniziato a leggerlo al pc, incontrando diverse difficoltà, perché non ho ancora un lettore e-book. Probabilmente, il messaggio è di sbrigarmi a procurarmene uno...:-)
Volete partecipare al Gruppo di Lettura a proposito di questo bel libro? Seguite il link, e le istruzioni date da Reading is Believing! Reading is Believing ♥: Gruppo di Lettura per "La bambina senza cuore" di ...:
Volete partecipare al Gruppo di Lettura a proposito di questo bel libro? Seguite il link, e le istruzioni date da Reading is Believing! Reading is Believing ♥: Gruppo di Lettura per "La bambina senza cuore" di ...:
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