domenica 24 giugno 2012

Il libro dei gatti tuttofare – La rassegna


Inizia la rassegna dei tipi di “gatti tuttofare”. Il primo gatto è in contemplazione muta e immobile del suo nome. Gli altri manifestano la loro essenza nei modi più diversi. La vecchia Gatta Gianna Macchiamatta (The Old Gumbie Cat) siede senza far nulla sui gradini di casa per tutto il giorno. Ma quando cala la sera, improvvisamente entra in scena: va in cantina, scova i topi e invece di mangiarseli si occupa della loro educazione: musica, ricamo, lavoro ad uncinetto, cucina. Non è quantomeno bizzarro? Queste prime righe mi hanno riportato alle atmosfere allucinate di Alice nel Paese delle Meraviglie, con il Bianconiglio indaffaratissimo e spaventatissimo dall’enorme ritardo accumulato nello sbrigare le sue faccende. Si prosegue con un Sandogatt (eh, sì…J), che forse suona più divertente alle nostre orecchie latine di Growltiger, l’originale inglese, che è un gatto d’assalto. D’aspetto trasandato perché reduce di mille battaglie, duro e poco piacevole, è il primo a farsi coinvolgere in ogni rissa, se non a iniziarla. E’ mosso da odio e volontà di vendetta verso altre razze di gatti, come i Persiani e i Siamesi, poiché uno di loro ebbe il coraggio di strappargli un orecchio. Il terrore di tutti i porti, il “bullo” per eccellenza, però, viene ripagato della sua vita di violenze e soprusi, nell’ultima lotta che lo vede perdente e costretto a saltare giù da un muretto in acqua. Alla terza poesia, ci si rende conto di come Eliot abbia voluto prendere in giro alcuni tipi umani piuttosto precisi: il Tirammolla (the Rum Tum Tugger) è un gatto perennemente indeciso e “bastian contrario”. Se gli si offre un cibo, ne vuole un altro. Se viene portato fuori casa, rientra in casa. Se viene tenuto in casa, miagola perché vuole uscire. Irritante, eh? “ed è del tutto inutile sgridarlo:/lui alla fine fa/solo quel che gli va/e non c’è nessun modo di cambiarlo.” (T.S.Eliot, Il libro dei gatti tuttofare, pag. 31, Bompiani) Vedo un riflesso abbastanza familiare…

venerdì 22 giugno 2012

Il libro dei gatti tuttofare – Il nome dei gatti


Iniziamo a parlare di nomi, allora. La prima poesia s’intitola proprio così, Il nome dei gatti. Sembra una faccenda da poco…ma è davvero così? Si potrebbe girare la domanda a qualche proprietario, o meglio, a qualche co-inquilino umano del suddetto animale. Eliot non pensa che sia una questione facile, e inizia: “ E’ una faccenda difficile mettere il nome ai gatti;/niente che abbia a vedere, infatti/ con i soliti giochi di fine settimana…”(Eliot, Il libro dei gatti tuttofare, pag. 5, Bompiani). Ed espone poi la sua teoria. I gatti, in realtà, non devono avere solo un nome, ma tre. Uno, domestico, tollerato dall’animale (aggiungo io, questa è una mia impressione), di uso “comune”. Probabilmente per dare all’umano l’illusione di possesso sulla bestiola. Il secondo, è il nome che il gatto considera più appropriato per sé e che lo fa incedere sussiegoso e ben pieno di sé. Almeno, secondo i suoi canoni…Eliot ne dà qualche esempio, come Mustrappola, Tisquass, Ciprincolta (originali inglesi: Munkustrap, Quaxo, Coricopat), “nomi che vanno bene soltanto ad un gatto per volta”. (ibidem) E questi sono i nomi che identificano ogni gatto, esattamente come i nomi umani identificano le persone tra di loro (e noi abbiamo anche i cognomi, per sconfiggere le omonimie), e in qualche modo le modellano.

martedì 12 giugno 2012

Il libro dei gatti tuttofare – Sorprendente l’autore.

Questo è un libro pieno di stranezze, a partire dall’autore: nientemeno che Thomas Stearns Eliot. Io lo conoscevo dai tempi del liceo, come un autore “serio”…almeno, tutti gli autori che si studiano al liceo sono visti come “seri” perché li si conosce attraverso i libri di scuola, dimenticando che prima di essere scrittori, poeti, e poi “classici”, “impegnati”, “importanti” (gente seria, insomma), sono esseri umani. Esseri umani particolarmente dotati e particolarmente desiderosi di esprimersi. Qualcuno anche esagerando…ma è solo una mia opinione, ovviamente.  Ritornando a T.S.Eliot, io conoscevo di lui altre opere come The Waste Land e Murder in the Cathedral, che non sono propriamente libri di lettura leggera. Per l’ombrellone è meglio scegliere qualcos’altro, anche se sono entrambi parecchio interessanti e ricchi. Murder in the Cathedral mi ha sempre colpito, perché è così…teatrale. A parte il fatto che è davvero un dramma teatrale, la stessa ambientazione dell’assassinio (una cattedrale, e per essere più precisi, la Cattedrale di Canterbury), l’identità dell’assassinato (Thomas Becket, l’arcivescovo di Canterbury), nonché quella degli assassini (alcuni tra i cavalieri più vicini al re, Enrico II d’Inghilterra) contribuiscono ad elevare il “tono”. Non un curato di campagna tremebondo (e qui difficile non ricordarsi il nostrano Don Abbondio…), non una chiesetta in un paesetto sperduto in Svizzera, non un gruppo di teppistelli ubriachi, ma nientemeno che un Arcivescovo, a Canterbury in Inghilterra, e quattro tra i cavalieri più vicini al trono inglese del momento.
Con questa premessa, Il libro dei gatti tuttofare mi ha fatto subito sorgere questa domanda: ma che c’entra Eliot con i gatti, e per giunta tuttofare?

domenica 10 giugno 2012

Imparare l’ottimismo – Scontro di stili


Quello che mi colpisce, e molto positivamente, è che l’autore ha un approccio talmente pratico alla materia che parte a raccontare molto spesso di sé e delle sue stesse reazioni di fronte agli avvenimenti.  Seligman è attualmente uno psicologo stimato,  il fondatore di una “corrente” nuova, la psicologia positiva, autore di libri diventati best sellers, Presidente dell’APA (American Psychological Association) per diverso tempo in passato.  Ma non è nato in queste cariche alte, e non si è trovato coperto di onori per caso o in modo semplice. Essendo un innovatore, e un rivoluzionario da un certo punto di vista, ha avuto il coraggio e la forza di contrastare quelli che erano gli dei del momento nell’ambito della psicologia in America negli anni ’70, i comportamentisti. Secondo questa corrente di pensiero, gli esseri umani dovevano il loro comportamento unicamente a fattori esterni, e in modo più specifico, alle ricompense e alle punizioni ricevute nel corso della loro vita. La coscienza, il pensiero, la capacità di progettare, elaborare, creare, non contava nulla. In questo caso, il comportamento dell’individuo varia al variare dell’ambiente: se l’ambiente cambia e diventa positivo, allora anche l’essere umano diventerà positivo. E gli esempi sono anche molto semplici: la povertà diventa la vera causa della criminalità, secondo questo approccio. Una volta eliminata la povertà, anche i crimini scompariranno. La stupidità deriva dall’ignoranza: con l’aumento della scolarizzazione, anche questa verrà “curata” e scomparirà. Sono idee  che assomigliano pericolosamente a luoghi comuni e portano via una parte considerevole dell’interazione della vita. Dov’è la responsabilità individuale? Dov’è la capacità di reagire, di elaborare un evento e di trasformarlo, se necessario?
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