martedì 27 febbraio 2018

Marcello Fois – Del dirsi addio – Un thriller apparente

LoreGasp


Finalmente riesco a scrivere di questo libro. L’ho iniziato un paio di mesi fa e l’ho accantonato distratta da altri libri, e anche da futili motivi. Quando si è palesato il momento opportuno, ho messo da parte i distrattori e sono ritornata ad ascoltare l’autore e il suo stile originale, mentre racconta qualcosa di più che non una semplice questione di cronaca nera, la sparizione di un bambino.

Siamo a Bolzano, in inverno. Una famiglia, Nicola, Gea e il figlio Michele Ludovisi trascorre una serata in pizzeria. L’atmosfera è un po’ tesa e distratta: i due coniugi fingono a fatica che non ci sia stanchezza e irritazione di comunicazione tra di loro, mentre Michele, undicenne dall’intelligenza bizzarramente elevata, lancia citazioni colte, frasi ben più adulte della sua età. Durante il viaggio di ritorno verso casa, si verifica la tragedia inattesa: i genitori fermano la macchina per permettere che il figlio si apparti per un bisogno fisiologico. Tutto intorno è tranquillo, la zona è quasi priva di criminalità, non ha quasi fatti di cronaca da raccontare oltre a denunce per piccoli furti occasionali nei supermercati. Tuttavia, Michele non fa più ritorno alla macchina. Sfugge al controllo dei genitori e svanisce letteralmente nel nulla.

Su questo evento misterioso, quasi magico, vengono chiamati a indagare il commissario Sergio Striggio e la sua squadra. È un aitante quarantenne, di fascino, dalla personalità complessa, dalla vita appesantita da una serie di segreti e di questioni irrisolte che si porta dietro dall’infanzia, indubbiamente il centro vero e proprio del romanzo.

Nel titolo ho parlato di thriller apparente. Forse dovrei parlare di un thriller di depistaggio. Se penso al romanzo, l’evento criminoso, le indagini spesso difficili e inconcludenti del commissario e dei suoi collaboratori, i personaggi satelliti veloci e sfuggenti, sono una piccola parte di quello che è veramente. Un intreccio, un tessuto elastico e scintillante intorno alla figura di Sergio Striggio, e la sua personalità, i suoi rapporti personali e il modo in cui li tiene, partecipe e distaccato. Il suo aspetto affascinante lo qualificherebbe subito come dongiovanni. No, sono gli uomini l’oggetto dei suoi sentimenti, soprattutto uno, Leonardo Pallavicini, bellissimo maestro elementare, con cui ha un rapporto stretto e mai scontato. La ruvidezza con cui tratta qualche volta il suo prossimo potrebbe essere indice di sicurezza in se stesso, arroganza, controbilanciata da una malinconia silenziosa, un po’ scorbutica. Qualcuno lo definisce bipolare, per questo cambio repentino di atteggiamento, ma è solamente una capacità di percezione non comune, abituata ad andare oltre il toccare e il sentire soliti della realtà.

La sua capacità di analisi, unita allo spingersi continuamente oltre, alla ricerca di qualcosa di più, gli permette di avere l’intuizione accelerata per risolvere il caso che sembrava senza nessuna soluzione concreta, e di arrivare ad una verità che non poteva che essere come la sua personalità, fuorviante.

Quando ho posato il libro, è stato come risvegliarmi da una magia. La magia dell’apparente, del fuorviante. La vera indagine, qui, è sullo spazio interiore di Sergio Striggio. I suoi rapporti tesi e creativi con i suoi genitori, ma soprattutto suo padre, presenza ingombrante e giudicante per la maggior parte della vita, che probabilmente aveva paura di quel figlio dall’intelligenza prontissima, gli interessi culturali ampi, le pulsioni controcorrente (come il giovanissimo Michele Ludovisi), e che ha sempre tenuto piuttosto lontano da sé. 
Pietro Striggio è stato un poliziotto, molto in gamba e considerato sul lavoro, piuttosto carente nella vita privata. Innamorato in profondità della moglie, da cui si allontana emotivamente non appena arriva nella sua vita il figlio Sergio.

Le stesse difficoltà di amore e di comunicazione si ritrovano rispecchiate nella famiglia Ludovisi, in cui i due genitori Nicola e Gea sono campioni di fraintendimento e legame emotivo, nello stesso tempo. L’amore folle che li ha legati da giovanissimi, si è trasformato in un tessuto ricco di odio, che proprio per quel motivo li tiene insieme. Odio e bugie, e di nuovo, fraintendimenti.

Quello che mi ha attratto e mi ha incantato (per questo ho parlato di magia, prima) non è solo la costruzione delle molteplici vicende, come la sparizione di Michele, la personalità e i rapporti di Sergio Striggio, i frequenti flashback nella sua adolescenza per illustrare alcuni dei suoi nodi attuali, la relazione con Leo e con gli uomini e le donne della sua squadra.

Anche l’uso magistrale di una lingua maestosa e originale, pur conservando un’apparente semplicità. Il ricorso ad alcuni episodi della mitologia greca, riscritti in un’ottica da moderni, per spiegare la profondità e la misteriosità di certe pieghe dell’animo umano. Mitologia greca che si trova riflessa in alcuni nomi propri, come Gea, oppure Olimpo, il nome della pizzeria in cui la famiglia Ludovisi passa l’ultima serata riuniti.

Del dirsi addio: un titolo complesso, letterario, che nasconde un fulcro importante e profondo. E lo nasconde talmente bene, che solo l’ultima parola del libro aprirà la porta della rivelazione. Non aspettatevi nulla di consueto, in questa indagine: dovrete prima sedervi calmi e attenti a cogliere ogni suono, ogni pausa, ogni parola. E forse, forse, riuscirete a risolvere prima dell’ultima riga.

4 commenti:

  1. Devo ammettere che non ho mai letto nulla di Fois, ma puntualmente ne leggo parlar bene!

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    Risposte
    1. Questo è il primo che riesco a leggere, di suo. Andrò a cercare gli altri titoli, perché questo mi ha lasciato una grande curiosità e un desiderio di approfondire la conoscenza dell'autore.

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