Finalmente riesco a scrivere di questo libro. L’ho iniziato
un paio di mesi fa e l’ho accantonato distratta da altri libri, e anche da
futili motivi. Quando si è palesato il momento opportuno, ho messo da parte i
distrattori e sono ritornata ad ascoltare l’autore e il suo stile originale,
mentre racconta qualcosa di più che non una semplice questione di cronaca nera,
la sparizione di un bambino.
Siamo a Bolzano, in inverno. Una famiglia, Nicola, Gea e il
figlio Michele Ludovisi trascorre una serata in pizzeria. L’atmosfera è un po’
tesa e distratta: i due coniugi fingono a fatica che non ci sia stanchezza e
irritazione di comunicazione tra di loro, mentre Michele, undicenne
dall’intelligenza bizzarramente elevata, lancia citazioni colte, frasi ben più
adulte della sua età. Durante il viaggio di ritorno verso casa, si verifica la
tragedia inattesa: i genitori fermano la macchina per permettere che il figlio
si apparti per un bisogno fisiologico. Tutto intorno è tranquillo, la zona è
quasi priva di criminalità, non ha quasi fatti di cronaca da raccontare oltre a
denunce per piccoli furti occasionali nei supermercati. Tuttavia, Michele non
fa più ritorno alla macchina. Sfugge al controllo dei genitori e svanisce
letteralmente nel nulla.
Su questo evento misterioso, quasi magico, vengono chiamati
a indagare il commissario Sergio Striggio e la sua squadra. È un aitante
quarantenne, di fascino, dalla personalità complessa, dalla vita appesantita da
una serie di segreti e di questioni irrisolte che si porta dietro dall’infanzia,
indubbiamente il centro vero e proprio del romanzo.