lunedì 14 agosto 2017

Maurizio De Giovanni – Le mani insanguinate – Quindici volte noir.

LoreGasp

Maurizio De Giovanni. Basta il suo nome e io devo leggere i suoi libri. Sono anche tanti, meno male, per cui potrò approfondire la sua conoscenza con tutto comodo e agio. È parecchio noto per il suo inconsueto commissario Ricciardi, e per la serie televisiva de I bastardi di Pizzofalcone, tratta dal suo omonimo libro. Tutti segnati sulla lista della Cintura di Orione, naturalmente.

Questo libro, Le mani insanguinate, arriva naturalmente da… ovvio che sì… dal #SalTO30 appena passato. Passato solo dal punto di vista del calendario, naturalmente. Il Salone del Libro è un’esperienza priva di individuazioni temporali gregoriane precise. Una visita approfondita allo stand delle Edizioni Cento Autori, e Maurizio De Giovanni è stato immediatamente adottato.

Sono quindici racconti noir. Quindici perle nere, in cui De Giovanni si diverte a usare il nero come ingrediente principale o come filtro dei suoi scritti; non è più solo un genere, in cui l’assassino commette il delitto davanti agli occhi sorpresi del lettore e poi si dilegua sbeffeggiando gli inquirenti di turno. Alcuni dei racconti sono noir “tradizionali”, se possiamo definirli così. In altri, invece, il nero è davvero un filtro, un paio di lenti scure virate con cui l’autore guarda e riscrive alcuni eventi storici molto noti, e altri fatti di cronaca delicati, al punto da essere entrati nel corpo collettivo del nostro territorio.

E alcune di queste rivisitazioni sono talmente ben congegnate che potrebbero persino… essere reali. In fondo, è sempre questione di punti di vista, giusto?

Non manca una spruzzata di humour macabro, che mi fa rispolverare uno dei miei hashtag preferiti, #blackhumour, con cui il lettore riesce a prendere le distanze da avvenimenti e comportamenti che potrebbero colpirlo un po’ troppo a fondo. Lo stile di De Giovanni è forte nella scelta delle parole e anche in quelle più mansuete all’apparenza si annida una carica espressiva importante. Se rilasciata di colpo, o senza preparazione, il lettore potrebbe risentirne gli effetti. Com’è capitato a me, con il primo racconto, La canzone di Filomena, in cui la giovanissima protagonista sopporta con una stoicità non umana un carico di disgrazie a catena: la perdita della madre, l’alcolismo e la violenza del padre, la povertà estrema. Dopo poche righe ero già al tappeto con i lacrimoni. E non l’avrei creduto possibile, dato che mi sembrava di conoscere almeno il canovaccio al di sotto della storia… mai sottovalutare gli scrittori, soprattutto quelli di talento, che scrivono racconti. Quello che ho descritto poche righe sopra può sembrare storia vecchia, antica, geografica (qui siamo a Napoli), raccontata e ri-raccontata chissà quante volte, da chissà quanto tempo, da chissà quanti scrittori, a partire da Verga… il solito ritratto di angoscia, povertà, disperazione.

Sì. E no.

Quello che è originale, è il punto di vista da cui viene raccontata la vita della povera Filomena. E lo stile che, da compassato e partecipe senza sfociare nel melenso, si colora di soprannaturale per brevi momenti, e si risolleva nel finale. Che ovviamente non racconto.

L’atmosfera del secondo racconto, Io e mia sorella, inizia da qualche ottava più in alto. Calmo, apparentemente sereno, a due voci. Sotto la serenità, un paio di note dissonanti che vibrano sempre più forte finché non arriva fortissima la curiosità di conoscere le due sorelle: è sempre solo una che parla, e l’altra voce è di un uomo, che entra in contatto con loro e s’ingarbuglia in una vicenda cattiva, squallida e crudele. Quando scoprirete chi sono le due sorelle, però, tutto vi sembrerà diverso.
Avete mai pensato che gli eventi famosi, sia di adesso sia di ieri, avrebbero potuto avere un’altra spiegazione, un altro svolgimento, da come ci è stato insegnato sui libri di scuola o trasmesso dai telegiornali? Sempre, vero? Mancava, però, qualcuno che lo scrivesse sul serio, e soprattutto con coraggio.

Basta uno sguardo, e siamo incantati a leggere le vicende di un ragazzino chiuso, introverso, gran disegnatore, figlio mal tollerato di una donna chiusa e fredda che lo ha allevato per dovere. Lo seguiamo, nelle sue parole, mentre racconta di come la sua vita di emarginato ed escluso cambia quasi all’improvviso dopo un incontro al limite tra la vita e la morte, in un angolo magico del tempo e spazio, e si trasforma in un giovane uomo carismatico, cui basta uno sguardo per essere seguito, adorato, sostenuto in pieno. Presto gli si affianca una donna, l’amore della sua vita, cui sta scrivendo le parole che beviamo avidamente. Tutto va bene, benissimo, i due sono letteralmente in cima al mondo, lei gli è talmente devota, talmente di sostegno che… le basta uno sguardo.
Non è una storia d’amore tra anime gemelle: è la storia di una fascinazione mortale (o meglio, la rivisitazione di una fascinazione mortale) tra due persone, che piombò il mondo in un’oscurità perversa per almeno un ventennio… ed ebbe termine quando l’uomo, l’io narrante della storia, si suicidò al sicuro in un bunker con la sua amata, per non cadere prigioniero degli Alleati che stavano per prenderlo. 

È sicuramente una ricompilazione degli eventi molto interessante… e se fosse andata veramente così?

Per amore di Nami rintraccia le origini di un amore nascosto e clandestino tra un uomo dei boschi e una donna di famiglia di città, splendida creatura poco realizzata, con un marito insulso, due figli da crescere quasi da sola, e tanti carichi di responsabilità difficili da portare avanti. L’amore finisce, almeno da parte della donna, che si ritira nella sua vita di routine, mentre il suo amante dei boschi, che nessuno conosce sul serio, la spia e la osserva diventare sempre più spenta, più lontana da se stessa. È per salvarla e salvare il frutto concreto del loro amore ormai dimenticato, che lui piomba nella sua vita uccidendole il figlio minore… anche se, per questo suo malinteso atto di salvataggio, lei è costretta a sopportare un processo lunghissimo e inconcludente, una gogna mediatica senza fine e crudele, che poi la spingerà via da quella bizzarra abitazione nella valle di Cogne.


Questi sono solo gli assaggi: vi restano gli altri dodici, per scoprire tutte le variazioni sul nero e sul blackhumour di cui è capace uno scrittore in grado di vedere tanto altro e di andare molto oltre come De Giovanni. Come libroterapia, vi serve leggerli subito per dimenticare il caldo. O per abituarvi al freddo che sta per arrivare, viste le perturbazioni ultimamente così volubili…

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