venerdì 30 giugno 2017

L'Angolo Furioso di Belgravia#2 - Anita Virga – Subalternità Siciliana

LoreGasp

Secondo appuntamento con l’Angolo Furioso di Belgravia, per il ciclo Facce di Sicilianità. Dopo la denuncia coraggiosa di Luci dall’ombra di Lucio Cucinotta, arriva un testo di ricerca molto approfondito, che guarda ad alcune radici importanti della nostra storia letteraria. 

Si tratta di Subalternità siciliana – nella scrittura di Luigi Capuana e Giovanni Verga, di una giovanissima professoressa italiana presso la University of Witwaterstrand di Johannesburg in Sudafrica, Anita Virga. Un testo svelto e profondo allo stesso momento, e un’autrice molto preparata e spigliata, che ieri ho avuto l’onore di intervistare presso la Libreria Belgravia di Luca Nicolotti, a Torino.

Anita Virga è l’esempio di quell’Italia giovane, preparata e coraggiosa che i nostri amati ministri non vedono proprio (non ripeterò tutte le uscite desolanti a base di calcetto e bamboccioni dei mesi scorsi, da parte di alcuni degli occupanti di Montecitorio), e che invece ci rende così felici e rassicurati, quando sappiamo che esiste sul serio e sta lavorando con vigore e pulizia in altre parti del mondo, costruendosi una propria strada.

Se gli occupanti di cui sopra fossero stati presenti ieri sera, avrebbero ascoltato come nasce un libro sul serio e come il nostro patrimonio letterario, una parte molto specifica di questo, è stato letto, mangiato, meditato ed elaborato in una vita giovane ed espresso in un modo così serio e profondo.
Il punto di partenza di questo libro è un interrogativo molto personale, nella vita dell’autrice. 

Siciliana per parte di padre, si trova a vivere da sempre la sua “sicilianità” in modo molto naturale, anche scontato, finché qualcosa non la spinge a cercare al di sotto di tutte le etichette e gli stereotipi in cui si ritrova immersa, e che non le bastano. Tutto questo mentre la sua vita corre secondo le scadenze tipiche di tutti i bambini e poi giovani attraverso le scuole dell’obbligo, la scelta di un percorso di studi personalizzato all’Università di Torino e poi portato avanti all’estero, negli Stati Uniti e poi in Sudafrica.

Nella sua ricerca incontra due grandi scrittori siciliani, Luigi Capuana e Giovanni Verga, che la convincono a studiarli da un punto di vista molto specifico e originale: il rapporto tra servi e padroni secondo la dinamica colonizzato-colonizzatore, la visuale dei subalterni verso la prepotenza e l’arroganza cieche della classe dominante, che si rende e si crede molto più forte di quello che è in realtà. Sfumature sottili, che sono l’applicazione micro di quello che era capitato in Sicilia e nel Sud in generale all’epoca dell’unificazione: un puzzle messo insieme incollando pezzi di natura diversa, senza aspettare di farli conoscere e amalgamare, con la leggerezza e l’attenzione di un rullo compressore che impone leggi nate in altre latitudini, con altre esigenze, in luoghi e in culture che hanno presupposti e caratteristiche totalmente diverse. Cristo si è fermato a Eboli, di Carlo Levi, ambientato in un altro posto del Sud, è un altro esempio di questo atteggiamento da colonizzatore miope.

Il risultato è un contrasto continuo, un braccio di ferro in cui il vincitore non è così scontato, e, quando vince, lo fa con le ossa rotte. Si vede piuttosto bene in Capuana, ne Il marchese di Roccaverdina, in cui il prepotente marchese protagonista, che dispone e predispone con arroganza delle vite dell’amante e dei suoi subalterni, alla fine perde la ragione perché la resistenza passiva e indignata di chi gli è inferiore è muta ma paziente, inesorabile, e inarrestabile. Sono le forze della terra, quelle schiacciate dalla mancanza di rispetto di chi crede di poter imporre le proprie leggi e i propri capricci senza fine, che si fanno sentire e ricordano di non poter essere domate così facilmente, o senza conseguenze.

Altre sfumature di questo rapporto con la subalternità, attraverso il filtro dell’atteggiamento coloniale e colonialista, si trovano in Verga, in una novella come Nedda e poi nel suo monumentale I Malavoglia. Nedda rappresenta l’inizio di una crescita nello stile e nei contenuti di Verga, che comincia a volgere lo sguardo verso le cosiddette classi popolari, abbandonando via via l’atteggiamento paternalistico verso di esse (che si potrebbe riassumere in un’etichetta veloce: “povera creatura, è di nascita inferiore, non è colpa sua”) che nei suoi primi scritti era ancora piuttosto pronunciato. Un sottoinsieme del rapporto colonizzatore-colonizzato è quello uomo-donna: la donna deve sottostare a regole precise di comportamento, soprattutto obbedire ai veti, sopportare, rinunciare a se stessa e alla sua originalità, per rientrare nell’accettabilità. L’esempio dell’infrazione alla regola è la fortissima Lupa protagonista di una novella famosissima, che mostra esattamente come andare controcorrente senza accettare compromessi.

Questo è solo un assaggio di quello che troverete nel libro: Anita Virga vi conduce in un bellissimo viaggio a ritroso nel tempo, in quella Sicilia così fraintesa: considerata immobile e arretrata, mentre il suo fermento, sia letterario sia fisico (nei vari moti di ribellione) era vivo e in crescita. Riscoprirete lati di Verga e Capuana lasciati un po’ da parte, soprattutto per il secondo scrittore, che oggi si conosce sempre meno, privando i lettori di un tesoro originale, guarderete gli uomini dietro i ruoli di autori e intellettuali, e ritroverete sfaccettature passate inosservate nei personaggi, nei rapporti tra di loro e con i loro stessi autori.


E vi ritroverete a voler rileggere novelle e romanzi, come sta capitando a me con Il marchese di Roccaverdina, per gustare sapori e odori che vi erano sfuggiti, e la sottigliezza colorata dello stile di due autori forti, solidi e fraintesi come la terra in cui sono nati.

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