martedì 17 giugno 2014

L'Amanita#41 - Salto nel buio

Salto nel buio
Clive Cussler

Maggio 1914: nella stessa notte un treno di lusso diretto a New York precipita da un ponte e un transatlantico affonda nel San Lorenzo.
Sul treno e sulla nave viaggiavano due uomini che portavano una copia del trattato segreto tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.
Settantacinque anni dopo, in piena crisi internazionale, ricompare una traccia di quel documento e il presidente degli Stati Uniti intuisce che le clausole in esso contenute rappresentano l’unica via di salvezza per il suo Paese. È indispensabile trovare quelle carte e solo un uomo è in grado di portare a termine una simile impresa: Dirk Pitt.

Non lo so.
Forse è il libro giusto al momento sbagliato. Non che sia scritto male, ma ho faticato ad entrare nella storia.

Diagramma dell’unica lettura, con ampie sezioni in modalità super Vicky:
Prologo: Neurino-mio è ben sveglio e curioso.
Parte Prima: dopo una bella partenza, sbadiglio.
Parte Seconda: sbadi… no, aspetta: ‘sto Pitt è simpatico.
Parte Terza: lo sbadiglio riprende.
Parte Quarta: Neurino-mio ha un fremito. Un treno fantasma? Ma non eravamo alle prese con immersioni e ricerche della nave affondata?
Parte Quinta: tra uno sbadiglio e l’altro Neurino-mio porta a termine l’impresa, con un sussulto pseudo-gioioso durante gli ultimi capitoli. Posso definirla proprio un’impresa titanica…

Dirk Pitt è un protagonista simpatico e l’azione di sicuro non manca.
Anzi, ci sono molti personaggi simpatici, qualcuno anche un po’ canaglia.
E le parti riguardanti i recuperi dei relitti sono davvero interessanti.
Forse lo apprezzerò pienamente quando lo leggerò con calma, ma non adesso.


O forse lo spionaggio internazionale infarcito di truschini politici non è nelle mie corde…

domenica 15 giugno 2014

L'Amanita#40 - Una fortuna pericolosa

Una fortuna pericolosa
Ken Follett


Vedo il titolo e Neurino-mio attacca a cantare “Fortune rota volvitur: descendo minoratus; alter in altum tollitur, nimis exaltatus…”.
Mai sfidare la fortuna, già: è una ruota che gira.
Giro il libro e leggo:
Inghilterra 1866. La tragedia irrompe in uno dei collegi più esclusivi del Regno: uno studente muore annegato in un misterioso incidente che vede coinvolti anche due giovani eredi della famiglia Pilaster, ricca dinastia di banchieri. Fatale disgrazia o qualcosa di più complicato? È l’inizio di una spirale di intrighi e vendette destinata a durare più di vent’anni, una guerra per il potere e il denaro combattuta con il sesso, l’affetto, il delitto e la minaccia. Per amore o per orgoglio, nessuno sembra disposto a fermarsi davanti a nulla, in una lotta senza quartiere che rischia di travolgere tutti quelli che sono coinvolti.
Dai circoli in cui si riunisce l’alta società londinese alle case di tolleranza dove quella stessa società consuma i suoi più inconfessabili piaceri, dalle sale da ballo ai sontuosi uffici di chi governa la finanza internazionale…
Due fratelli, Toby e Joseph Pilaster. Toby sceglie di lavorare in proprio e fallisce, Joseph – non so ancora se odio o meno la sua formidabile moglie Augusta – prosegue l’attività di famiglia.
I loro figli: Hugh intraprendente e col fiuto per gli affari schiacciato dal suicidio del padre Toby ed il cugino Edward, debole e succube della madre.
E attorno a loro un mondo che salta fuori dalle pagine: adoro Follett. I suoi personaggi, i suoi contrasti, le ambientazioni.
C’è l’umanità nei suoi libri.


L’essere umano in tutte le sue sfumature, dall’infimo all’eccellente passando per ignobili, infami, viscidi, ambiziosi, mediocri, buoni…

giovedì 12 giugno 2014

Aleph – Enigma

Non è il significato della parola Aleph, enigma. Secondo l’imprescindibile Wikipedia, Aleph sarebbe la prima lettera dell’alfabeto ebraico, e di quello fenicio. Secondo OmraamMikhael Aivanhov,  “La lettera ebraica  "Aleph" è uno dei migliori simboli dell'atteggiamento interiore che l'uomo deve assumere per regolare correttamente la questione del prendere e del dare.
"Aleph" rappresenta l'uomo che è riuscito a realizzare il collegamento fra Cielo e terra, al fine di ricevere dal Cielo per dare alla terra. Infatti, perché prendere agli uomini, quei poveretti che non possiedono quasi nulla? E' dal Cielo, infinitamente ricco, che dovete attingere per dare agli esseri umani. La lettera "Aleph" ci insegna che il nostro compito è diventare un tramite fra Cielo e terra. Considerate la lettera "Aleph" come il massimo ideale da raggiungere. Essa dev'essere un richiamo continuo in ogni vostra azione: ricevere benedizioni dal Cielo per riversarle sulla terra
.” (Pensieri quotidiani, Omraam Mikhael Aivanhov) E sono alcune delle definizioni che si potrebbero dare di questo termine: queste sono quelle che mi hanno colpito maggiormente. Con queste nozioni in mente, e spinta da un caloroso e ripetuto invito a leggerlo, ho acquistato e finito al volo il libro di Paulo Coelho. Premetto che per me, Paulo Coelho non è mai stato un autore facile da approcciare; inspiegabilmente, tendo a girargli al largo. Di lui lessi diversi anni fa L’Alchimista, Veronika decide di morire e Undici minuti. Tutti e tre furono ampiamente graditi, lasciando però un fondo di mistero e di perplessità che ancora non riesco a risolvere, a distanza di anni. E’ lo stesso fondo di mistero che ho ritrovato in Aleph, un muro di nebbia che mi impedisce di afferrare completamente il messaggio al di sotto. E’ anche vero che Coelho non affronta mai temi leggeri leggeri...è un uomo fortemente spirituale e altrettanto fortemente radicato nel mondo, seguace di una Tradizione in cui è guidato un misteriosissimo J., dotato di un’apertura umana verso l’alto e i suoi simili non comune. E’ uno degli autori più noti in campo mondiale, uno dei più letti e tradotti. Ci aspettiamo qualcosa tipo Twilight, da qualcuno di questa caratura? Per quanto non lo sembri a prima vista, non è un giudizio a scapito di nessuno: semplicemente, Coelho è spinto alla scrittura da pulsioni diverse da quelle di Stephenie Meyer, con un pubblico e risultati diversi. In questo romanzo del 2006, l’autore rivela un pezzo di sé piuttosto scomodo. E’ in preda ad una crisi di fede, si sente avvelenato e colpito da un immobilismo che lo tiene lontano dall’Energia universale. L’unica soluzione che gli balena davanti agli occhi è quella di viaggiare: di punto in bianco, facendo sospettare al suo agente letterario di essere preda di un attacco di follia acuta e totale, Coelho organizza un percorso lungo la Transiberiana, per incontrare i propri fans ed entrare in contatto con le persone, con le loro vite. Come primo effetto della sua decisione, viene subito avvicinato da una giovane violinista turca di eccezionale talento, Hilal, che insiste nell’accompagnarlo nel suo viaggio e nel voler condividere tutto il suo spazio.

Il Dio della bicicletta - ...quanta strada nei miei sandali!

...e quanta ancora da fare. Meno male, aggiungo. Non è il caldo improvviso, o un’altrettanta improvvisa recrudescenza della mia follia interiore, ma è il canticchiamento, piuttosto ossessivo, che mi accompagna da ieri sera, mercoledì 11 giugno, in cui si è svolta una bellissima presentazione sui generis di un libro altrettanto sui generis. Si tratta de Il dio della bicicletta, di Marco Ballestracci. La vostra Furiosa è intervenuta all’inizio della serata, organizzata presso la Ciclistica Rostese, semplicemente per introdurre l’autore che, accompagnato dal suo chitarrista Giorgio Pasino, ha dato vita ad una presentazione-spettacolo dei contenuti del suo libro, intervallati dalle principali canzoni italiane scritte per eroi del ciclismo. Il dio della bicicletta è una divinità bizzarra. Schiva, riservata, silenziosa. Preferisce agire, piuttosto che comparire tra tuoni, fulmini, lampi, fumo, o parlare in lingue morte tramite Sibille in trance. Si insinua nelle gambe di bambini e adolescenti dell’Italia degli anni della Seconda Guerra, o di quelli subito prima, che vivono poveramente nei piccoli centri rurali, immersi e forgiati in vite apparentemente dure persino per uno Spartano. Fa percorrere loro chilometri e chilometri in bicicletta, semplicemente per andare a scuola o a lavorare, attraverso tutti i fenomeni atmosferici, arrancando su salite impossibili, facendo affrontare loro rischi al cardiopalma che farebbero impallidire un adulto di oggi. Li trasforma in campioni, di gesti atletici e di volontà titaniche, al punto da infondere un po’ della propria aura divina in qualcuno di loro mentre sono ancora in vita, come il mitico Fausto Coppi, che è ancora in grado di far piangere di commozione i suoi collezionisti, o persino chi è nato lustri dopo la sua morte. Sarebbe troppo facile parlare di Coppi. I fiumi di inchiostro e le tonnellate di carta consumati per lui, dai giorni della sua vita fino ai giorni nostri, non sono più calcolabili. Marco Ballestracci, nel suo libro e nel suo spettacolo, sceglie di parlare anche di altre figure, meno note a livello planetario, ma altrettanto importanti nel mondo del ciclismo, che gli appassionati capaci di ricordare date e km potrebbero facilmente ritrovare.
Marco Ballestracci e il chitarrista Giorgio Pasino
Qualche volta si tratta di gregari, che il bizzarro e imprevedibile dio della bicicletta spinge a compiere grandi imprese quasi all’improvviso, facendoli uscire, per un momento, dalla loro posizione apparentemente “secondaria”.   Un’altra volta si tratta di rievocare l’atmosfera di leggenda sinistra nata in alcuni luoghi impervi, ostili, che hanno dato origine a tappe ciclistiche funestate da incidenti e morti quasi inspiegabili, da maledizione, come il monte Ventoux in Provenza.  Sono dieci racconti in cui si snoda la narrazione di un ciclismo anche lontano nel tempo, fatto soprattutto da uomini e dalla loro volontà, ben distinto dal circo mediatico odierno e dalle telecamere invadenti che lo spettacolarizzano, distraendo l’attenzione dall’uomo e dalla passione. In alcuni casi si parla anche di tifosi, collezionisti dalla rara capacità di distinguere la bicicletta di un determinato corridore in mezzo alle altre, e di appassionati in grado di parlare dei loro atleti preferiti rivestendoli delle terzine dantesche o di quelle omeriche. E’ un libro che a suo modo ha catturato anche me, che sono parecchio distante da questo mondo, per quanto siano proprio di ciclisti i primi nomi di sportivi che ho imparato da bambina, sentendoli ripetere ossessivamente in televisione dall’onnipresente Adriano De Zan in determinati periodi dell’anno. Merckx e Gimondi (e in sottofondo De Zan ), Merckx e Gimondi, Merckx e Gimondi: uno scioglilingua, un’invocazione agli dei, una maledizione/benedizione misteriosa, uno scongiuro contro tutti i mali. Ecco cosa pensavo da bambina sentendoli in cantilena...se avete provato qualcosa di simile nella vostra infanzia, se siete appassionati di ciclismo e volete uno sguardo inconsueto su questo mondo, o semplicemente se volete allargare i vostri orizzonti, allora Il dio della bicicletta è il libro che fa per voi, e Marco Ballestracci la voce narrante da ascoltare dal vivo quando verrà nelle vostre città!

martedì 10 giugno 2014

L'Amanita#39 - Nicholas Eymerick, Inquisitore

Nicholas Eymerick, Inquisitore

Valerio Evangelisti

Basata su un inquisitore catalano realmente esistito nel Trecento, la creatura di Evangelisti è un uomo intollerante e spietato, ma anche intelligente, coltissimo, dotato di spirito e coraggio. Nelle sue avventure si muove tra culti pagani, sette demoniache e misteriose forze maligne, anche su piani temporali diversi, alla scoperta di una sinistra verità che scorre attraverso i secoli. E che lega avvenimenti lontani sotto il segno di un’unica, eterna sfida contro il Nemico.

Si parlava di rogo?
Loredana, se tu mi vedessi ora, non resisteresti alla tentazione di ricorrere ad uno dei tanti vecchi scherzi:
“Dimmi, figliola, cosa ti perplime?”
Oppure: “troppo tea verde ti fa male!”.
Sì, perché sono di nuovo in piena ambivalenza.
Premetto, avevo già letto qualcosa e ricordavo vagamente il personaggio. Ed è un personaggio particolare: o lo ami o lo odi.
Adesso ricordo più chiaramente altri dettagli. E sghignazzo: all’epoca mi aveva affascinato l’altalenare della vicenda tra passato, presente e futuro fantascientifico. Un’astronave che viaggia nel tempo grazie alla forza psichica… altro che Star Trek!
In più, oltre allo gnomo sputasentenze, ho anche un piccolo “Torquemada-inside”. Del resto, se scatta il ritornello “al rogo, al rogo” (su musica di All’arm’,all’arm’ di Ludovico Agostini, 1534-1586), ci sarà un motivo.
Il personaggio mi era già piaciuto anni fa e comprendo benissimo il suo rigore. Condivido il suo fastidio nei luoghi troppo affollati ed apprezzo le sue strategie a volte un po’ tortuose. Ehm, molto tortuose.
Poi mi ricordo il Discorso della Montagna e le beatitudini evangeliche ed imbavaglio il mio inquisitore interiore, dopo averlo lasciato sfogare.
Va bene, da cristiana – un tantino eretica, nessuno è perfetto… – non posso che ritenere l’Inquisizione, le crociate ed i vari <<Gott mit uns>> aberrazioni umane.
Ma amo Eymerick.

Peccato sia peggio di fratello Cadfael: un sacco di libri!

giovedì 5 giugno 2014

L'Amanita#38 - Il mago sabbiolino

Il mago Sabbiolino
E. T. A. Hoffmann

A volte i miei raptus musicali mi giocano scherzi sgraditi.
Tempo fa la radio ha trasmesso una musica nota; sapevo di averla già sentita, non erano sonorità barocche quindi ho dovuto stare attenta fino alla fine per ascoltare titolo e compositore.
“Coppelia”, balletto di Delibes, tratto da un racconto di Hoffmann. Ah già, il tipo che si innamora di una fanciulla misteriosa, che alla fine si rivela un sofisticatissimo orologio/automa, follia e morte tragica del baldo eroe…
Poi Neurino-mio si sveglia (rimanere a dormire, no, eh?): guarda che nel doppiofondo della libreria dovresti avere una copia dei “Racconti”.
Ebbene sì.
Comprai il libro per colpa di Gaiman. So che suona assurdo, ma il titolo è tradotto anche “il mago della sabbia”… e mi ricorda “The Sandman”.
A volte sono un po’ tortuosa!
Ricordavo bene la trama. Perfetta per il teatro: avevo apprezzato il balletto.
Purtroppo lo scritto è tutta un’altra cosa.
Lo stile narrativo fastidioso fa passar la voglia di leggere altri racconti, la cui trama – stando all’enciclopedia – sarebbe interessante.
Pesante, esagerato, esasperato.
Avrei preso a schiaffi Natanaele. Svegliati, idiota! Passi la fantasia sfrenata del bambino, ma sei decisamente cresciuto.

Con questo non voglio dire che un adulto non debba sognare, immaginare, lasciar volare la fantasia. Caspita, è la più grande ricchezza che abbiamo (e lo dico sottovoce: immaginare è ancora gratis ed esentasse…), ma essere adulto, secondo me, significa imparare a svegliarsi senza “cadere dal letto”! 

martedì 3 giugno 2014

L'Amanita#37 - La papessa

La papessa

Donna Woolfolk Cross

Giovanna nasce nell’anno del Signore 814, in un’epoca in cui le donne sono considerate empie, inferiori ed indegne di essere istruite. 

Argh!

Al rogo, al rogo!

Ehm, sì.

Ho preso la citrosodina.

E pure una bella tazza di camomilla (bleah, meglio il tea).

Ma sono ancora velenosa ed incavolata nera.

Precisazione: ho amato questa donna intelligente, coraggiosa, disinteressata e non ambiziosa… e pure un po’ incosciente. Quasi ovvio, ho studiato in seminario; comprendo la fede e la sete di conoscenza. Evidenzio il quasi, perché studiare teologia non implica automaticamente l’avere fede (né essere onniscienti), ma rischio di impelagarmi in un discorso noioso e fuori tema.

Ho amato anche la vicenda, pur tediata dalla storia d’amore di sfondo. L’aut – aut <<carriera o amore>> va al di là della mia comprensione. Se poi la <<carriera>> è ecclesiastica… ricomincio a cantare al rogo, al rogo e senza passare dal via.

Ehm! La trama.

Giovanna è la terza figlia di un becero prete di origine inglese e di una sassone convertita (conversioni ottenute a suon di violenze e stragi grrrr), fin da piccola mostra intelligenza e curiosità. Grazie ad una serie di coincidenze, può iniziare a studiare presso il vescovo locale assieme al fratello, scampa ad un attacco di normanni ed entra in un convento al posto del fratello Giovanni. Da qua la sua ascesa, fino a diventare papa.

Muore di parto durante un attentato – per la serie “non priviamoci di niente”.

Ora, non mi infastidisce il matrimonio dei preti. Il vangelo di Marco ci informa che san Pietro aveva una suocera. Del resto il celibato è stato introdotto successivamente. Ed insisto sulla parola celibato. I presbiteri hanno l’obbedienza al vescovo ed il celibato. I religiosi come benedettini, francescani ecc. hanno i voti di “povertà, castità ed obbedienza”. Fatta la legge, trovato l’inganno, già: celibato e castità non sono equipollenti.

Né mi turba l’idea di una papessa; un arcano maggiore dei tarocchi in alcune tradizioni è “la sacerdotessa”, ma in altre è proprio “papessa”; se ci pensate è particolare, visto che l’etimo di papa è la parola padre. E dove c’è puzza di fumo, non dico “c’è arrosto”, ma qualcosa ha preso fuoco. Quindi, sì: il fatto non è poi così campato per aria. Che poi, secondo me, sia da rivedere l’intera struttura gerarchica a partire proprio dal papa… be’, qua è meglio stendere il famoso velo pietoso.

Mi ha deluso la quasi “casualità” della scelta di prendere il posto del fratello morto. Vista la limitatezza di documenti e prove storiche sul personaggio, mi aspettavo una ricostruzione diversa.

Mi ha fatto venire i crampi la descrizione della curia romana. Descrizione attendibile. Ed odiosa.

Ambizione, privilegi, nepotismo, ignoranza (grrrrrrrr), simonia, compravendita di benefici e cariche, intrighi e corruzione fino all’omicidio.

In nome di Dio?!

Al rogo, al rogo! 
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