Giorni fa, su Facebook, ho visto questa immagine pubblicata
in una pagina dedicata allo scambio di consigli di lettura. La frase mi ha
fatto sorridere, oltre che annuire ad ogni parola. I libri sono davvero una
droga in rilegatura pesante, che non fa correre rischi di overdose e che rende
felici le sue “vittime”. All’antica, io ho parlato di “furore” di aver libri,
dal titolo di quel testo del Settecento italiano che non smette mai di
affascinarmi. E’ qui vicino a me sulla mia scrivania, tranquillo. Non mi ha
ancora detto tutto, però, di quello che contiene. Non certo perché non si lasci
aprire e leggere…ma c’è qualcosa di non detto, in questo libro, che mi spinge a
cercarlo come se fosse l’oggetto di una caccia al tesoro. Forse è solo l’effetto
della droga di libri che si rilascia nell’organismo. Quell’impulso a leggere
scavando nelle frasi, quasi a cogliere quello che c’è sotto. Ogni tanto, quando
chiudo un libro dopo averlo letto o anche solo per far riposare un po’ la vista
(poco, non possiamo perder tanto tempo a far nulla, J), mi soffermo su una frase,
una scena, un capitolo che ancora mi ballano in mente, chiedendo all’autore:
cosa volevi davvero dire? Cosa ti ha spinto a scrivere così, di questo
argomento? Faccio un “viaggio” anch’io, anche se con la mente, nel puro campo
delle ipotesi più sparate, e senza l’effetto deleterio di sostanze estranee
iniettate, sniffate, inghiottite. Quanto
mi piacerebbe che questo tipo di “droga”, fatta di rilegature di carta e
cartone di forme e colori vari, che tengono insieme fogli scritti in tutte le
lingue del mondo, venduta agli angoli delle strade, si diffondesse a macchia d’olio.
Potremmo sentire parlare di grandi concentrazioni di “librina pura” consegnati,
e non più sequestrati , dalle Forze dell’Ordine, a centinaia di giovani e non
giovani che, sotto i loro effetti, diventerebbero più colti, più calmi, più
sapienti, più riflessivi. Nessun rischio di overdose, nessuna degradazione
fisica o spirituale, nessuna morte assurda. Utopia pura e anche spinta, vero?
Non importa: non si può ancora dire se un giorno si avvererà o meno. Anche un Presidente nero alla Casa Bianca era pura fantascienza fino a qualche tempo fa...:-)
venerdì 31 agosto 2012
domenica 12 agosto 2012
L’enigma della morte di Marylin Monroe – Una ricostruzione plausibile
Probabilmente perché gli autori sono docenti di materie
scientifiche, lo stesso libro ha un approccio scientifico ma non freddo all’argomento.
Mette in risalto alcune caratteristiche passate in secondo piano o
completamente ignorate da altri giornali e scrittori che si sono occupati del
misterioso decesso. Marilyn fu trovata morta nella sua villa di Los Angeles,
che aveva acquistato mesi prima. Nel pavimento dell’ingresso, alcune mattonelle
riportavano una citazione di San Paolo: “Cursum Perficio”, “ho terminato la mia
corsa”, che suona piuttosto sinistro, come se fosse una premonizione della fine del suo corso di vita. Leggendo
anche le vicende di quei mesi, e la trascrizione di alcuni dei colloqui con uno
dei suoi analisti, Marilyn stava finendo anche il corso stesso della sua
analisi. Dopo essere stata in cura da diversi terapeuti, tra cui la stessa
figlia di Sigmund Freud, l’attrice arriva alla conclusione di non averne più
bisogno. Dopo mesi, anni, passati a scavare nelle lacune e nelle ferite della
sua anima, a rivedere, rimescolare e a piangere sul rapporto nero con una madre
inesistente e troppo lontana, a cercare di vivere nonostante tutte le angosce e
le solitudini che questo le causava, Marilyn vede con lucidità che ha
terminato. E non perché è guarita. Non si può andare oltre. Non si può risanare
qualcosa che non è mai stato sano. E’ la conclusione che aleggia da alcune
frasi dell’attrice, una consapevolezza lucida e sinistra che l’ha accolta e
accompagnata fino alla morte. Se si segue questo filone di pensiero, è facile
pensare che Marilyn davvero si sia suicidata perché sconvolta dal non poter più
fare nulla per se stessa, e tutto questo avrebbe una sua logica. Eppure, gli
autori mettono l’accento sulle mille stranezze della notte in cui l’attrice
viene trovata morta.
mercoledì 8 agosto 2012
L’enigma della morte di Marilyn Monroe – 50 anni dopo, un’indagine scientifica
Cinquant’anni fa, e più precisamente il 4 agosto 1962,
veniva ritrovata morta Marilyn Monroe, attrice americana dal fascino e dal
richiamo planetari. Lei era la Donna, la Dea della Bellezza, il Fascino
personificato. Io l’ho “conosciuta” parecchi anni più tardi, proprio attraverso
la sua morte, avvenuta in circostanze mai chiarite del tutto, e circondata da
misteri, voci incontrollate, insabbiamenti. Un anno dopo sarebbe morto in un attentato John Fitzgerald
Kennedy, strettamente collegato a lei, sia in vita sia in morte, e poco dopo
ancora Bob Kennedy, il “fratellino” ministro del Presidente, anch’egli vicinissimo
all’attrice. I casi di Marilyn Monroe e John Kennedy, oltre ad essere collegati
per i fatti che crearono, continuano ad essere legati e a rivaleggiare quasi,
tra di loro, per quanto riguarda il sospetto e la mistificazione che sorsero
intorno ai loro decessi. Per quanto riguarda Marilyn, la polizia arrivò in
fretta ad una conclusione e ad un’archiviazione: probabile suicidio. Del resto,
era difficile escluderlo categoricamente dalla lista delle possibili opzioni.
La vita di Marilyn era un cristallo: la facciata lucida e splendente, fatta di
bellezza, desiderio, soldi e fama, stesa a coprire a malapena un’interiorità
piena di incrinature, che crollava facilmente sotto la pressione di una piuma. Riviste
di ogni tempo, libri, servizi televisivi hanno ripercorso tutti gli eventi di
quei trentasei anni di vita, fatti di abbandoni, affidamenti a estranei,
violenze, carriera cinematografica strepitosa e declino.
lunedì 6 agosto 2012
La mennulara – Verga sì, ma con un tocco di Cluedo…
L’annuncio mortuario, così com’è stato scritto nelle volontà
imperiose della Mennulara, deve comparire su certi giornali, in certi spazi ben
determinati, ed è cura degli Alfallipe fare in modo che questo avvenga. Questa
disposizione non è molto gradita da quasi nessuno della famiglia; si sentono,
quasi tutti, presi in giro e sminuiti da una semplice “criata” che non ha mai
saputo veramente stare al suo posto in vita e che, nemmeno da morta, mostra di
conoscere l’importanza delle gerarchie sociali! A parte la madre di famiglia,
legatissima alla cameriera perché completamente dipendente da lei, gli altri
membri Alfallipe sono inviperiti e feriti nell’orgoglio, per cui decidono di
fare di testa loro, contravvenendo alle loro abitudini di ricchi svogliati e
incuranti, e fanno uscire un annuncio mortuario modificato a loro gusto. Si
sente una certa atmosfera tesa, sotto questa decisione, una certa paura superstiziosa
dell’ignoto e di cosa potrebbe accadere, contravvenendo alle volontà della
morta. Temono che possa addirittura tornare dall’aldilà a rimproverarli…e in un
certo senso aspettavo anch’io un colpo di scena medianico (di nuovo i
vampiri??) con un ritorno dall’oltretomba. La suspense è forte…ma nessun
vampiro, revenant o non-morto. Non per diversi giorni, almeno, finché non
arriva una serie di lettere, scritte dalla Mennulara, rivolte alla famiglia,
con una serie di istruzioni precise. Il particolare che suona macabro da storia
horror è il fatto che le lettere della scrivente (o meglio, di chi le ha
scritte sotto sua dettatura) arrivano dopo la sua morte, ma poi l’oscura mano
artigliata del buio dell’ignoto svanisce sotto la luce quasi accecante della
consapevolezza della cameriera. E qui l'atmosfera si stempera un po' nel giallo-cluedo.
giovedì 2 agosto 2012
La mennulara – Giovanni Verga negli anni ‘60
Dopo streghe, vampiri, gatti tuttofare, draghi, si torna con
i piedi per terra. E in una terra particolare, in Sicilia, negli anni ’60. Per
essere precisi, il libro si apre il 25 settembre 1963, con un lutto: muore
Rosalia Inzerillo, la Mennulara del titolo, cameriera della famiglia Alfallipe,
notabili del paese di Roccacolomba. L’inizio è piuttosto lento, quasi
sonnolento; il medico constata la morte della cameriera, avvenuta in un soffio,
in silenzio. Dopo averla comunicata alle persone che lo attendono in
anticamera, tutte animate da sentimenti diversi, prende avvio un
romanzo-concerto fatto di mille voci. Ciascuna di esse “canta una strofa”, per
proseguire la similitudine musicale, contribuendo a comporre la canzone della
vita della Mennulara, rimasta senza voce
per intervento della Natura. Una delle rievocazioni della figura di questa
donna controversa, in effetti, la ritrae bambina tredicenne mentre canta con
voce forte e intonata, dedicandosi con ferocia a raccogliere mandorle. “Mennulara”,
raccoglitrice di mandorle, è il soprannome che le è rimasto, da quella prima
occupazione giovanile, cercata con furore per poter aiutare il magrissimo
bilancio domestico, rimasto sulle spalle del padre a causa della malattia della
madre.
La Mennulara rivive nei racconti di volta in volta astiosi, ammirati,
invidiosi, sprezzanti delle persone del paese, a partire dai suoi stessi
ex-padroni, la sua famiglia, i conoscenti. Si delinea un ritratto di donna
forte, autoritaria, prepotente, impavida, in contro-tendenza con i suoi tempi,
il suo sesso, il suo ruolo. Gli Alfallipe, i suoi padroni, sono i classici
ricchi oziosi, preoccupati solo dei propri piaceri e di non essere infastiditi
mentre li perseguono. Adorano la ricchezza, ma non se ne occupano, non la
amministrano, perché lo lasciano fare agli altri, che possono sporcarsi mani e
tempo facendolo.
Iscriviti a:
Post (Atom)