Inizia la rassegna dei tipi di “gatti tuttofare”. Il primo
gatto è in contemplazione muta e immobile del suo nome. Gli altri manifestano
la loro essenza nei modi più diversi. La vecchia Gatta Gianna Macchiamatta (The
Old Gumbie Cat) siede senza far nulla sui gradini di casa per tutto il giorno.
Ma quando cala la sera, improvvisamente entra in scena: va in cantina, scova i
topi e invece di mangiarseli si occupa della loro educazione: musica, ricamo,
lavoro ad uncinetto, cucina. Non è quantomeno bizzarro? Queste prime righe mi
hanno riportato alle atmosfere allucinate di Alice nel Paese delle Meraviglie,
con il Bianconiglio indaffaratissimo e spaventatissimo dall’enorme ritardo
accumulato nello sbrigare le sue faccende. Si prosegue con un Sandogatt (eh, sì…J), che forse suona più
divertente alle nostre orecchie latine di Growltiger, l’originale inglese, che
è un gatto d’assalto. D’aspetto trasandato perché reduce di mille battaglie,
duro e poco piacevole, è il primo a farsi coinvolgere in ogni rissa, se non a
iniziarla. E’ mosso da odio e volontà di vendetta verso altre razze di gatti,
come i Persiani e i Siamesi, poiché uno di loro ebbe il coraggio di strappargli
un orecchio. Il terrore di tutti i porti, il “bullo” per eccellenza, però,
viene ripagato della sua vita di violenze e soprusi, nell’ultima lotta che lo
vede perdente e costretto a saltare giù da un muretto in acqua. Alla terza
poesia, ci si rende conto di come Eliot abbia voluto prendere in giro alcuni
tipi umani piuttosto precisi: il Tirammolla (the Rum Tum Tugger) è un gatto
perennemente indeciso e “bastian contrario”. Se gli si offre un cibo, ne vuole
un altro. Se viene portato fuori casa, rientra in casa. Se viene tenuto in
casa, miagola perché vuole uscire. Irritante, eh? “ed è del tutto inutile
sgridarlo:/lui alla fine fa/solo quel che gli va/e non c’è nessun modo di
cambiarlo.” (T.S.Eliot, Il libro dei gatti tuttofare, pag. 31, Bompiani) Vedo un riflesso
abbastanza familiare…
domenica 24 giugno 2012
venerdì 22 giugno 2012
Il libro dei gatti tuttofare – Il nome dei gatti
Iniziamo a parlare di nomi, allora. La prima poesia s’intitola
proprio così, Il nome dei gatti. Sembra una faccenda da poco…ma è davvero così?
Si potrebbe girare la domanda a qualche proprietario, o meglio, a qualche
co-inquilino umano del suddetto animale. Eliot non pensa che sia una questione
facile, e inizia: “ E’ una faccenda difficile mettere il nome ai gatti;/niente
che abbia a vedere, infatti/ con i soliti giochi di fine settimana…”(Eliot, Il
libro dei gatti tuttofare, pag. 5, Bompiani). Ed espone poi la sua teoria. I
gatti, in realtà, non devono avere solo un nome, ma tre. Uno, domestico,
tollerato dall’animale (aggiungo io, questa è una mia impressione), di uso “comune”.
Probabilmente per dare all’umano l’illusione di possesso sulla bestiola. Il
secondo, è il nome che il gatto considera più appropriato per sé e che lo fa
incedere sussiegoso e ben pieno di sé. Almeno, secondo i suoi canoni…Eliot ne
dà qualche esempio, come Mustrappola, Tisquass, Ciprincolta (originali inglesi:
Munkustrap, Quaxo, Coricopat), “nomi che vanno bene soltanto ad un gatto per
volta”. (ibidem) E questi sono i nomi che identificano ogni gatto, esattamente
come i nomi umani identificano le persone tra di loro (e noi abbiamo anche i
cognomi, per sconfiggere le omonimie), e in qualche modo le modellano.
martedì 12 giugno 2012
Il libro dei gatti tuttofare – Sorprendente l’autore.
Questo è un libro pieno di stranezze, a partire dall’autore:
nientemeno che Thomas Stearns Eliot. Io lo conoscevo dai tempi del liceo, come
un autore “serio”…almeno, tutti gli autori che si studiano al liceo sono visti
come “seri” perché li si conosce attraverso i libri di scuola, dimenticando che
prima di essere scrittori, poeti, e poi “classici”, “impegnati”, “importanti”
(gente seria, insomma), sono esseri umani. Esseri umani particolarmente dotati
e particolarmente desiderosi di esprimersi. Qualcuno anche esagerando…ma è solo
una mia opinione, ovviamente. Ritornando
a T.S.Eliot, io conoscevo di lui altre opere come The Waste Land e Murder in
the Cathedral, che non sono propriamente libri di lettura leggera. Per l’ombrellone
è meglio scegliere qualcos’altro, anche se sono entrambi parecchio interessanti
e ricchi. Murder in the Cathedral mi ha sempre colpito, perché è così…teatrale.
A parte il fatto che è davvero un dramma teatrale, la stessa ambientazione dell’assassinio
(una cattedrale, e per essere più precisi, la Cattedrale di Canterbury), l’identità
dell’assassinato (Thomas Becket, l’arcivescovo di Canterbury), nonché quella
degli assassini (alcuni tra i cavalieri più vicini al re, Enrico II d’Inghilterra)
contribuiscono ad elevare il “tono”. Non un curato di campagna tremebondo (e
qui difficile non ricordarsi il nostrano Don Abbondio…), non una chiesetta in
un paesetto sperduto in Svizzera, non un gruppo di teppistelli ubriachi, ma
nientemeno che un Arcivescovo, a Canterbury in Inghilterra, e quattro tra i
cavalieri più vicini al trono inglese del momento.
Con questa premessa, Il libro dei gatti tuttofare mi ha
fatto subito sorgere questa domanda: ma che c’entra Eliot con i gatti, e per
giunta tuttofare?
domenica 10 giugno 2012
Imparare l’ottimismo – Scontro di stili
Quello che mi colpisce, e molto positivamente, è che l’autore
ha un approccio talmente pratico alla materia che parte a raccontare molto
spesso di sé e delle sue stesse reazioni di fronte agli avvenimenti. Seligman è attualmente uno psicologo stimato, il fondatore di una “corrente” nuova, la
psicologia positiva, autore di libri diventati best sellers, Presidente dell’APA
(American Psychological Association) per diverso tempo in passato. Ma non è nato in queste cariche alte, e non si
è trovato coperto di onori per caso o in modo semplice. Essendo un innovatore,
e un rivoluzionario da un certo punto di vista, ha avuto il coraggio e la forza
di contrastare quelli che erano gli dei del momento nell’ambito della
psicologia in America negli anni ’70, i comportamentisti. Secondo questa
corrente di pensiero, gli esseri umani dovevano il loro comportamento unicamente
a fattori esterni, e in modo più specifico, alle ricompense e alle punizioni
ricevute nel corso della loro vita. La coscienza, il pensiero, la capacità di
progettare, elaborare, creare, non contava nulla. In questo caso, il
comportamento dell’individuo varia al variare dell’ambiente: se l’ambiente
cambia e diventa positivo, allora anche l’essere umano diventerà positivo. E
gli esempi sono anche molto semplici: la povertà diventa la vera causa della
criminalità, secondo questo approccio. Una volta eliminata la povertà, anche i
crimini scompariranno. La stupidità deriva dall’ignoranza: con l’aumento della
scolarizzazione, anche questa verrà “curata” e scomparirà. Sono idee che assomigliano pericolosamente a luoghi
comuni e portano via una parte considerevole dell’interazione della vita. Dov’è
la responsabilità individuale? Dov’è la capacità di reagire, di elaborare un
evento e di trasformarlo, se necessario?
Iscriviti a:
Post (Atom)